Violenza economica di genere: conoscerla per prevenirla

Partendo dalle singole e piccole realtà dei nuclei familiari e sfociando nella società e nel mondo del lavoro, sono spesso e troppo radicati atti di costante controllo e monitoraggio del comportamento di una persona in termini di uso e distribuzione del denaro.

Non necessariamente è l’uomo ad avere il potere economico ma così è nella prevalenza dei casi, in conseguenza dell’oggettivo divario di genere nella retribuzione ancora persistente nel mondo del lavoro.

Dall’indagine – commissionata dal Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria alla società di ricerche e analisi di mercato Doxa – emerge che sono soprattutto le donne a risentire di questi elementi di “fragilità”, soprattutto in un periodo complesso come quello che stiamo vivendo. Secondo il rapporto, gli uomini sono più disposti a rischiare nelle decisioni finanziarie (il 37% del campione a fronte di un 26% delle intervistate), mentre le donne dichiarano di avere maggiore difficoltà nel raggiungere i propri obiettivi finanziari.

La violenza economica si caratterizza in fasi arrivando poi al totale isolamento economico: si passa da una prima fase di isolamento, nel quale la donna di fatto viene accompagnata nella gestione del proprio conto corrente.

Si tratta di elementi che sottolineano la presenza di un Gender Gap strutturale anche sotto il profilo finanziario e che, oltre alle cosiddette “fragilità” riguarda anche la minore resilienza economica delle donne rispetto agli uomini.

Anche le differenze di genere rivestono un ruolo importante quando si guarda alla fragilità finanziaria.

Poi si passa a una fase di vero e proprio controllo, dove alla donna non viene dato accesso ai soldi se non per una sorta di appannaggio di copertura spese, richiedendole così una rendicontazione di tutte le spese che effettua.

Sono, infatti, più del 40% le donne (tra quelle che prendono decisioni finanziarie) che dichiarano che la propria famiglia sarebbe in grado di sopportare la mancanza di reddito solo fino a 2 mesi, rispetto al 34% degli uomini. Le donne sono anche più incerte e dimostrano maggiori difficoltà nel valutare la situazione finanziaria della propria famiglia (circa l’8% risponde non so, contro il 6 per cento degli uomini).

Le donne hanno spesso un rapporto difficile con i soldi (basti pensare al complicato accesso al capitale quando si parla di investimenti, al problema del gender pay gap, al fattore culturale e allo stereotipo di genere), allontanandosi sempre di più dalla gestione finanziaria. E questo aggrava la violenza, non solo economica, cui sono esposte le donne.

E’ violenza economica ogni volta che, colui che si sente o si definisce arcaicamente il “capo famiglia”, pone in essere una condotta di costante minaccia negando ai membri del nucleo familiare risorse economiche autonome, scoraggiando fortemente o addirittura impedendo scelte di studio, di vita, di rapporti sociali anche sentimentali, scoraggiando o impedendo di avere un lavoro, un’entrata finanziaria personale, un proprio conto corrente, una propria carta di credito, un proprio contratto telefonico, una propria automobile oppure vietando di utilizzare le proprie autonome risorse secondo la propria volontà o per esigenze personali.

Le donne in particolare faticano di più a riconoscere la violenza economica, subita come vera e propria violenza, se provengono da un contesto familiare e culturale in cui è stato sempre tramandato un tale sopruso come uno dei fondamenti del buon funzionamento di una famiglia tradizionale. La violenza economica se tollerata arriva nell’arco di anni ad impedire alla vittima di reagire. La vittima economicamente e psicologicamente dipendente dal violento, non autonoma e ormai esclusa dal mondo del lavoro, sceglie di subire non vedendo vie di uscita.

Molte volte la violenza fisica rappresenta la punta terminale ed esposta ma che può iniziare da una violenza più subdola com’è quella economica.

Quanto alla normativa di Diritto internazionale, il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante in materia di diritto femminile è la Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014. La violenza economica viene elencata tra le forme di violenza nei confronti delle donne all’art. 3 che definisce la violenza nei confronti delle donne come “una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”.

Ad oggi esistono alcune iniziative volte ad aiutare le donne vittime di violenza economica, tra le quali citiamo:

Protocollo d’intesa ABI-Sindacati a favore delle donne vittime di violenza di genere: Le banche e gli intermediari finanziari aderenti al Protocollo sono infatti impegnati fin dallo scorso 25 novembre 2019 a sospendere il pagamento della quota capitale dei mutui ipotecari e dei prestiti con il corrispondente allungamento del piano di ammortamento per un periodo massimo di 18 mesi nei confronti delle donne vittime di violenza e inserite in percorsi di protezione.

Il microcredito di libertà per le donne vittime di violenza: un protocollo di intesa tra Ministero delle Pari Opportunità e della Famiglia, Abi, Federcasse, Caritas italiana, Ente Nazionale Microcredito, che prevede l’attivazione di un sistema di microcredito (imprenditoriale e sociale) dedicato all’emancipazione delle donne vittime di violenza maschile da forme di sudditanza economica che possono anche determinarsi o acuirsi nei casi in cui le donne denuncino le violenze subìte e si allontanino da contesti di supporto economico basati sui rapporti familiari o sociali nei quali le violenze si sono manifestate.

Ai sensi dell’Art. 111 del Testo Unico Bancario, il microcredito “imprenditoriale” potrà essere garantito dal Fondo di garanzia per le PMI nella misura massima prevista dalla legge (ad oggi, per il 90%).

I finanziamenti di microcredito “sociale” saranno invece garantiti al 100% da un nuovo fondo di garanzia costituito dal Dipartimento delle Pari Opportunità (Fondo di Garanzia per il Microcredito di Libertà) con una dotazione iniziale di tre milioni di euro.

Il Dipartimento per le Pari Opportunità, tramite il Fondo di Garanzia per il Microcredito di Libertà, garantirà integralmente i finanziamenti di microcredito sociale contribuendo inoltre all’abbattimento del TAEG relativo alle operazioni di microcredito d’impresa e di microcredito sociale.

Le richieste di microcredito sono presentate dalle donne interessate agli intermediari aderenti al progetto Microcredito di Libertà con le seguenti modalità:

a) con riferimento al microcredito imprenditoriale per il tramite di tutor iscritti nell’Elenco nazionale obbligatorio degli operatori in servizi non finanziari ausiliari di assistenza e monitoraggio per il microcredito,

b) con riferimento al microcredito sociale per il tramite degli operatori individuati dalla Caritas Italiana.

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Ultimo aggiornamento: agosto 2023